Mai, infatti, lavorare il primo maggio.
C’è chi del lavoro ne fa una vocazione, uno stile di vita, una missione. Per me è stato così.
Da giovane ingenua quale ero, il lavoro è stato l’obiettivo della mia vita. Trovare il mestiere che più mi piace e farlo mio era un traguardo indispensabile.
Oggi, dopo aver servito sessanta persone urlanti, con ben tre ore di sonno e quindici ore di lavoro accumulate il giorno prima, capisco ancora di più l’importanza di avere un lavoro per cui hai passione. Ed io lo ho in effetti.
Non il servire tutte quelle persone, quello lo faccio solo per supportare la mia famiglia.
Quell’altro, quello in cui scrivo, faccio quadrare i conti, interpreto norme (?), Lancio qualche maledizione. Quello è il mio lavoro, quello per cui mi sento di dire “ho raggiunto la vetta”.
Ma alla mia età non più giovane, ho anche capito che non si può vivere per il lavoro. Vivere è altro. È ridere, godere degli attimi, degli amici, della famiglia.
Questo deve essere l’obiettivo, il problema è che la consapevolezza arriva tardi.